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PICCOLI PREGI - Racconto


Sono seduto nel vagone della metropolitana. E' la linea nuova con i vetri antisuicidio alle fermate. L' ho viste a Copenaghen così, non ricordo se a Barcellona, sicuramente a Sanpietroburgo. Li non c'è nemmeno il vetro, c'è un muro con delle porte che si aprono in corrispondenza delle porte del metrò che si ferma in banchina.


Sono salito alla fermata Mirti, a Centocelle, dove vivo dal 2003. Un quartiere che mi è cambiato sotto gli occhi. Ci venivo a comprare il fumo qui negli anni '90, adesso è gentrificato al 50%. Con la metro nuova è arrivato il Mc Donald e Piazza dei Mirti la sera d'estate sembra un rendering di Expo. Famiglie felici sedute sulle panchine con le macchine che girano attorno alla piazza di cemento. Macchine normali, ma anche macchine di coatti con i neomelodici a palla sparati dalle casse.

Egiziani e bengalesi non hanno certo la casa a Torvaianica o la roulotte parcheggiata dagli anni '60 in un campeggio di Ladispoli.

L'aria loro la trovano nella piazza. Con i ragazzini che sfrecciano indisturbati sugli overboard, le donne intubate che chiacchierano, gli uomini che passano il tempo al telefono. Ci sono anche gli italiani, gente che non rivolgerebbe mai la parola ad un extracomunitario, ma che si trova a doverlo fare perchè ai figli non sono riusciti a spiegare chi sono loro e chi sono gli altri. Così trovi il macellaio che parla della mensa di scuola con il tipo del bengalino all'angolo.


Sto in metro insomma oggi, davanti a me c'è uno di loro con la tunica. Gli arriva ai piedi, gli copre i sandali. Lui è a destra del modulo di quattro sedute, io sono al centro del modulo di quattro sedute. Ha una barba che un hipster se la sogna. Lunga, nera nera. Quel cappellino in testa lo fa serio, gli dona. Si guarda intorno, ma forse neanche tanto. Sono più io che lo guardo fingendo di guardare quello seduto accanto a lui. E' strana l'indifferenza che ha, ne ho visti tanti di questi cazzo di estremisti che mi ci vuole un attimo ad immaginarmi il peggio. Non gliene frega un cazzo che la metro sia piena, che ci siano bambini, arabi che vanno a lavoro, vecchietti che non si reggono in piedi. Questi quando arriva il momento attaccano. Puoi stare a Nizza, a Marsiglia, a Londra, a Baghdad, a Mogadiscio, a Barcellona cazzo! Su uno dei posti più magici del mondo, le Ramblas. Puoi stare dovunque che loro attaccano. Puoi stare anche sulla metro C di Roma. Con tutti attorno che hanno i loro problemi di buffi, di cibo, di affitti, di mutui, di equitalia. Problemi d'amore, di corna, di regali che non arrivano, di sogni che non si avvereranno mai. Problemi come i miei, come i vostri.

Ci può essere la qualunque umanità attorno, ma hanno smesso di vederla un mese fa, un anno fa. Forse non l'hanno mai vista tanti di loro.


Ma no, io non devo pensarla questa cosa, non è il mio giorno sfortunato. E' un normalissimo martedì di ottobre, in cui non cambia niente. Rimarremo coi nostri buffi, coi nostri sogni, con l'ansia che ci si mangia. La mia ragazza è in giro da qualche parte, sta lavorando. Stiamo facendo una campagna di crowdfunding per salvare una piccola sede della nostra associazione. Un buco che l'ente che lo gestisce tiene per le palle. Lei è in giro, a fare pubbliche relazioni, a parlare, a provare a vendere cose belle e a convincere la gente che non è la solita fuffa, che non è tutta merda quella in cui nuotiamo. E questo non può e non dev'essere il mio giorno sfortunato. Mi vengono in mente certi pensieri che fai in volo, coi vuoti d'aria. Quando qualsiasi segnale tra hostess e stuart è un segno della croce in codice che solo tu riesci a leggere. Ti guardi attorno cercando conforto, ma sono tutti distratti e tu dici cazzo regà stiamo andando a picco, l'ho visti che hanno abbassato gli occhi, hanno parlato col comandante, non c'è carburante, un fulmine, un'ala rotta, un motore, un malore, cazzo le cavallette!

No, oggi non è quel giorno, mio fratello mi aspetta. Stanno dando le puntate di Suburra, devo ancora vederle. Mio fratello ci fa una parte, piccola ma una parte cazzo. E' una cosa grande una parte nella serie di punta di Netflix del 2017. Io devo vederle non posso perderle, è una cosa importante per lui. Voglio vederlo e voglio vedere questo binomio Cattleya-Netflix se ha prodotto merda buona o merda merda. E poi lui fa uno zingaro. Ispirati ai Casamonica, noi ci siamo cresciuti all'Arco di Travertino con i Casamonica. Da piccoli eravamo tutti uguali, poi loro a sedici anni cambiano giri, futuro, destino. Mio fratello come me li ha anche odiati. Ha odiato i soprusi, il pizzo, la violenza di certi sguardi e il disprezzo per quelli che hanno una vita normale. Se n'è allontanato e poi li ha interpretati nella finzione. Che ho visto un paio di foto... quanto l'hanno fatto diventare brutto non si può dire. E' un cesso con i capelli ingelatinati sulla fronte. Un giacchettaccio di pelle e la mascella ischemizzata.

No amico oggi non ti farai saltare in aria, guarda quanti siamo, moltiplica i sogni di ognuno per dieci, per cento, per mille. Tutti hanno qualcosa sul cuore che deve esplodere ancora. Sorrisi e lacrime, abbracci da dare che nemmeno s'immaginano. Io a mia sorella da quando si è fidanzata non gliel'ho ancora dato un abbraccio. Si è fidanzata. E' felice. E io ancora non le ho detto che sono più felice di lei. Che se lo merita, che ha rincorso per una vita il sogno di un amore normale, come tutti. Solo un amore, come le sue amiche. Come tutti dal tempo del liceo. Quando ai miei occhi era normale per tutti e per lei no. Quando la morte di mio padre ha infettato tutto e forse lei di più. Ma già da prima, quando cresceva in una famiglia con un male incurabile. Mia sorella è bella, spacca il culo ai passeri. Fa la fisioterapista e meno male che fa la fisioterapista perchè la mia schiena ha bisogno di una fisioterapista, e il mio portafogli no. Tutti quegli anni con quella telecamera a spalla a seguire qualcuno come te che mi siedi di fronte. Tutti li ho raccontati, prime generazioni seconde generazioni, ultime generazioni. Ho dato più io alla causa che la nave di Medici Senza Frontiere. E ora devo stare qui a spiare i tuoi sguardi di sottecchi. A dire no, non sarà oggi, non può essere oggi. Ziad mi ha detto che il cugino, un normalissimo cugino tunisino, è andato in Siria a combattere con l'Isis ed il secondo giorno ci ha perso subito una gamba. Questa è la verità fratello. Stiamo nella stessa identica merda e tu te la prendi con me. E' il Mc Donald il nemico, ma non quelli che ci lavorano dentro, che guadagnano due spicci e puzzano di fritto. Non puoi far esplodere un negozio, deve cambiare il sistema, ma non saremo ne io e ne te. Ma soprattutto non sarà oggi. E il problema non è la rumena che mi siede accanto, qui, davanti a te. Guarda un po' più a sinistra. Eh, lei. Guardala bene, spannati gli occhiali. Immaginiamocela insieme mentre prende quel cazzo di autobus dalla Transilvania e si fa tredici ore di viaggio convinta che farà la vita da star e finisce a battere qui dietro sulla Togliatti, sulla strada dove io e te passiamo tutti i santi giorni. La strada che ha preso un suono qualunque palmirotogliatti che se non t'impegni nemmeno sembra più il nome di una persona. Invece l'hanno intitolata ad uno che doveva essere un grande e invece dopo la destalinizzazione... vabbeh non starò qui ad attaccarti il pippone sui comunisti, tranquillo. Parliamo di altro in attesa che questo vagone incandescente arrivi alla fermata di Lodi dove scenderò incolume perchè oggi non è il mio giorno sfortunato e devi tenerlo bene in mente. Non hai una valigetta, non hai un giacchetto, non hai una cintura quindi non t'inventare niente di nascosto dentro le mutande perchè sei ridicolo. Non ci crederebbe nessuno. Anzi mi alzo e ti alzo il cappello. 5 a 1 che non hai niente, che non puoi farmi niente, che non sei niente. Che sei come me, hai i tuoi cazzi come tutti noi e non vuoi che un fottuto estremista parli per te, ti rappresenti, dica a noi come siete tutti quanti voi.


No, non è vero. Ti parlerò del comunismo. Ti parlerò del diario del 1968 di mio padre. A 17 anni. Mia zia l'ha recuperato in chissà quale baule. Sono le pagine struggenti di un adolescente nell'anno che ha cambiato il mondo. Si firma George e si chiamava Luigi. George come George Harrison. E il suo migliore amico lo chiama Brian, come Brian Jones. E mia zia la chiama Jane, da Lady Jane. E tutti i giorni scrive un pensiero che inizia con: Dear Brian, my best friend. Mio padre s'e l'è portato via una malattia a 46 anni, nel fior fior della vita, con tre figli, una moglie, un mutuo, mille sogni, un destino.

Mio padre era un poeta, ma a diciassette anni ancora non lo sapeva, ancora scriveva solo piccoli sfoghi quotidiani. Scriveva della pace nel mondo, del Vietnam, degli americani. E credeva nella musica, credeva profondamente nella musica. Nei Beatles e nei Rolling Stones. E scriveva di solitudine, di essere accettato dagli altri, di amicizia e di amore. Scriveva come poteva scrivere un figlio del dopoguerra. Nato nel '51, fino a solo qualche anno prima del '68 portava i capelli rasati antipidocchi, i pantaloni alla zuava e delle magliettacce recuperate all'usato. Veniva da una famiglia cattolica, mio nonno era un fottuto integralista di questo lato del fiume e con i nomi dei figli ha declinato mezza Bibbia, mezzo calendario e tutta l'Ave Maria: Luigi, Francesco, Assunta, Antonio, Rosaria, AnnaRita.

Qualcuno qualche tempo fa ha scritto che voi siete i figli che non possono non ribellarsi, come lo erano loro, quelli del 68'. Ribelli con una causa, per citare un film famoso. No, non è vero.

Mio padre era comunista, ma il giorno del suo compleanno, 20 agosto '68, mentre i russi invadono Praga scrive '...non si può parlare di un mondo a cui tendere se non si rispetta la libertà degli altri. Penso a quei coetanei in piazza, ai carri armati. Penso alla falce e martello come ad una svastica'.


Mio padre era comunista senza rolex, senza tessera, senza critica delle armi. Scrittore e laureato in giurisprudenza agognava le armi della critica. Ma non ce l'ha fatta. Ha lasciato prima il fegato in banca, poi il cuore in un cassetto di dattiloscritti, poi la vita per una malattia.

Io, mio fratello e mia sorella ci siamo dovuti curare in questi anni. Prima di un ruolo in Suburra, un amore, un posto nel mondo come lo è il mio oggi. E non sarà uno come te a rovinarmi tutto questo.


Ziad dice che dovrei essere credente perchè sono una persona perbene. Lui è un musicista tunisino di successo in Italia. Suona dall'inizio nell'Orchestra di Piazza Vittorio. Ha avuto donne, beve, se gli passi una canna fuma, conosce il mondo come lo conosco io, ma quando parla del Profeta lo fa come lo farebbe un religioso. Con i rituali, le storie e tutto il corredo. E mi dice Fratello quale ateo, tu sei come me. Si, Ziad sono come te. Ma sono ateo. Non gli viene spontaneo che senza dio esistano belle persone. Non lo capisco, non lo capirò mai, ma siamo amici. Lui telefona un po' troppo, ma siamo amici. Telefona sempre, anche dopo l'una di notte, ma siamo amici. Telefona anche se sa che non gli sto rispondendo apposta, ma resteremo amici.

Quindi io e te, di fronte a me, siamo uguali. Questo volevo dirti. Non m'importa che tu lo capisca, m'importa che lo accetti. Sulla fiducia. La minigonna, i pompini, le tette al vento non fanno di una donna una puttana. Nemmeno il marciapiede fa di una donna una puttana. Sono gli uomini che fanno di una donna una puttana. Le religioni possono marchiare una donna, non la libertà.


Scendo a Lodi, non è successo niente. Chiaramente. Cammino verso il mio studio a Furio Camillo. Mi fa male la schiena...


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